Lo scenario è quello del profondo sud d’Italia, sulla costa ionica, in un fine ottobre strano che si porta dietro ancora i colori dell’estate.
Qui la linea costiera è piatta, regolare e crea un paesaggio brullo, ma solo all’apparenza.
I fondali sono distese di sabbia e fango per miglia e miglia e l’acqua risente fortemente di questa conformazione rimanendo torbida e velata nonostante il mare sia subito profondo; basta infatti fare qualche centinaio di metri verso fuori per ritrovarsi con fondali oltre i -70 metri.
Ancora più fuori ci sono delle secche che assommano per lo più a 40, 50 metri dalla superficie e continuano sprofondando a centinaia di metri.
Siamo venuti qui per esplorarle, attratti dalla cattura della grande ricciola, che è ancora possibile in queste acque, ma soprattutto con.
l’idea di cacciare la grande cernia bianca.
Le secche sono arricchite da diversi relitti isolati sul fango a varie profondità che risultano tetri con la scarsa luce autunnale e sono resi ancora più spettrali dalla torbidezza del mare, ma diventano territorio di caccia per i pesci di mole.
Il primo giorno siamo sfortunati: sui relitti l’acqua è veramente troppo torbida: uno massimo due metri di visibilità. Pescare così è quasi impossibile, pescare la cernia bianca è un assoluto miracolo. Questa specie ha praticamente lo stesso colore del fango e dell’acqua velata del fondale dove vive. In queste condizioni potrebbe passarti accanto senza che tu te ne accorga: una vera e propria caccia ai fantasmi.
Ne avvisto una grossa in uno degli oblò di un relitto, una comparsa veloce e poi niente più…
Mi resta il fascino del mistero che questi relitti emanano.
Esplorali, anche solo per pochi attimi è sempre una bella avventura
Nei giorni successivi finalmente c’è acqua più pulita (… siamo sempre su un fondale fangoso!).
Sul fondo, la velatura, benché minima, mi permette a mala pena di distinguere le sagome delle cernie, e sbaglio ben 3 tiri di seguito! Mi ci vuole un po’ a prendere le misure perché, ad ogni minimo movimento, dal fondale si alzano nuvole di fango che nascondono ogni cosa. Tra queste nuvole ci sono loro: diffidenti e schive che nuotano come fantasmi nella nebbia; fanno delle grandi buche nel fondale e ci si nascondono dentro, pronte a scattare se il predatore si avvicina.
Ma pian piano metto a fuoco ed i tiri cominciano ad essere fruttuosi.
Osservarle nel loro ambiente con il loro comportamento naturale è uno spettacolo. Parlano con i movimenti e ti sembra quasi di comprenderle e poter comunicare loro la meraviglia che ti trasmettono.
Decidiamo comunque di spostarci un po’ sulle secche, in mare aperto, dove è più probabile trovare un’acqua più limpida.
Dopo un po’ di scandaglio per trovare qualche sommo o qualche caduta interessante, ci tuffiamo su uno dei bordi che sembra promettente.
Arrivato sul fondo a circa 50 metri, un gruppo di dentici attira la mia attenzione. In questo gioco di ombre, dato dalla luce scarsa e dall’acqua che non è mai nitida, mi accingo ad attenderli come da manuale, ma con la coda dell’occhio le vedo:
le regine di questo posto, le ricciole!
Sono due e si notano per la loro imponenza. Si affacciano ad una decina di metri da me, diffidenti perché vengono insidiate in tutti i modi possibili, purtroppo, anche da chi viene apposta con le bombole per pescarle!
Non si avvicinano abbastanza, peccato… e nel frattempo i dentici si sono dileguati d’altronde bisogna fare una scelta e
io sono sempre un pescatore in apnea e mi tocca risalire a respirare.
Il fondale però è molto ricco di anfratti, cadute, canyon che ci ripagano con diverse cernie, anche di buona taglia, e numerosi dotti. Aspetto, agguato e tiri lunghi sono le tecniche giuste in questi fondali che, se rispettati, possono regalare avventure divertenti che non danneggiano l’equilibrio sottile del meraviglioso ecosistema che è il Nostro Mare.