La Digue: un paradiso selvaggio ai confini dell’Oceano Indiano

Le Seychelles, paradiso tropicale noto per i suoi scenari di colline di granito e foresta, spiagge bianchissime e oceano sconfinato.
La risorsa principale è il turismo perché e impossibile non rimanere a bocca aperta difronte alla natura di queste isole.

Tra tante a me interessa La Digue: la più remota e la più selvaggia. Quasi del tutto estranea all’industrializzazione dei paesaggi.
Pochi resort, diverse guest house, strade non illuminate e appena asfaltate.
Uomo e natura sembrano ben integrati, la vita scorre lenta, calma, al ritmo della luce solare.
Questo è il mio avamposto ideale per andare ad esplorare i fondali più esterni di quest’arcipelago.

 

Questo è il mio avamposto ideale per andare ad esplorare i fondali più esterni di quest’arcipelago

Qui ho trovato grande varietà di specie e morfologie dei fondali che non avevo mai visto: montagne isolate di granito incrostate da coralli, spugne e altri abitanti di quest’oceano.
Niente profondità qui… almeno nelle zone dove sono riuscito a farmi portare dal diving locale. Massimo 20-25 metri.

Ma non consiste in questo l’estremo qui, consiste nell’andare a trovare secche e rocce che sono fuori dai normali punti d’immersione.

Il periodo scelto è gennaio, caratterizzato da visibilità in acqua non è ottimale. È una cosa che amo perché rende la sfida più difficile e poi perché da queste parti la scarsa visibilità è l’ambiente ideale per lo squalo balena che si nutre in superficie e io non ne ho mai visto uno da vicino. Questa si che sarebbe una sfida.
Anche il meteo non è clemente e mi ritrovo in un fittissimo temporale in mezzo al mare. Tutt’intorno non vedo a più di qualche metro per la violenza della pioggia.
In acqua però la situazione cambia e la tempesta crea uno spettacolo unico solo per me. Ho la camera in mano e riesco a fare qualche scatto con questo scenario insolito.

Nella parte sud dell’isola c’è una costa meravigliosa: un’alternanza di cale di sabbia bianchissima e foresta tropicale su colline di granito.
Rimango incantato, ma è tempo di esplorare il fondale meridionale. Non c’è nessuno in acqua ed è un’occasione unica.
Qui il fondale è sabbioso, bianco come la spiaggia. E appena mi immergo incontro il Re di questo posto: un grande trigone spinoso insabbiato, largo più di me a braccia aperte! Mi mostra un atteggiamento ostile, sono qui ad invadere il suo regno senza chiedere il permesso e, quando mi avvicinavo per fotografarlo, sollevava la sua coda con l’aculeo velenoso per ricordarmi chi è che comanda qui sotto!

Ma ci sono anche forme di vita meno minacciose sotto la sabbia che ricopre come un manto il colori della vita di creature più piccole ed indifese come il granchio fantasma.

Nei giorni seguenti sono riuscito ad andare a visitare un agglomerato di granito sperduto a miglia di distanza dal porto, dove mi sento più a mio agio.

Profondità altissime che risalgono in maniera repentina. C’è pesce e ci sono i predatori

Caroselli di squali di scogliera tutti incuriositi dalla mia presenza. Con loro, grandi barracuda in formazione che facevano gli stessi giri di queste rocce sommerse.

Mi spingo verso la costa esterna di una delle isolette disabitate che sono intorno a La Digue, bella e selvaggia: l’isola di Marianne.
Sono in mezzo alla natura e lei si mostra crudele e selvaggia con le sue leggi. Un disordinato e frenetico banco di glassfish diventa oggetto di predazione da parte di diverse pastinache alcune molto grandi, e di una serie di altri predatori, tutti accaniti contro questa nuvola di piccoli pesci. Una scena simbolo della Catena Alimentare che non ho osato interrompere e che continuato ad osservare da spettatore privilegiato.

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